1° Ottobre - Amaranto, immortalità; Caffè
- rossanazancanaro

- 2 ott 2024
- Tempo di lettura: 7 min

A Matteo era sempre piaciuta Elisa.
La guardava ogni volta che arrivava a lezione con quei suoi due minuti di ritardo costanti, mentre scendeva le scale dell'aula universitaria di corsa, la sciarpa che le svolazzava dietro. Sceglieva sempre l'aula studio dove andava lei, anche se si sedeva a un altro tavolo. La seguiva sui social anche se lei non ricambiava.
Insomma, Matteo era certo che lui per Elisa fosse un perfetto sconosciuto, anzi, peggio, che lei non sapesse nemmeno della sua esistenza.
Ma quel giorno le cose sarebbero cambiate.
Matteo aveva deciso di parlarle, non solo: Matteo aveva deciso di chiederle di uscire, e non c'era nulla in grado di fargli cambiare idea una volta che aveva preso una decisione, per quanto avventata e stupida potesse essere.
Si trovavano al bar, il solito bar dove metà università si rintanava prima e dopo le lezioni, e alle volte anche durante. Dall'altra parte della strada rispetto all'ingresso della facoltà, non era più moderno, né più economico, né più carino di molti altri bar; anzi. Ma era vicino, e a tutti bastava.
Elisa aveva una tazza fumante di caffè americano davanti e leggeva un tascabile, a tre tavoli di distanza da Matteo. Il bar era stranamente mezzo vuoto, solo un altro posto era occupato, poco distante, da un tizio intento a leggere il giornale con un cappello calato sulla fronte. La cameriera era filata sul retro, probabilmente a rifornire il bar di brioche o più facilmente a fumarsi una sigaretta di nascosto approfittando della tranquillità dei clienti.
Chissà che diavolo spinge un’italiana a bere caffè americano, pensò Matteo.
Poi si alzò.
Si spazzolò i pantaloni nonostante non ne avesse alcuna necessità, lasciò una banconota sul tavolo sentendosi un po’ pretenzioso, e alla fine, col cuore in gola, si avviò verso il tavolo di Elisa.
Poco prima di raggiungerla vide che stava leggendo "La freccia nera". «Pensavo leggessi uno dei libri che abbiamo per Letteratura» disse, poi si diede dello stupido. Che razza di presentazione era mai quella?
Elisa alzò lo sguardo, i suoi occhi si spostarono fino a raggiungere il suo viso mentre tutto il resto del corpo rimase immobile in maniera quasi innaturale.
Matteo si sentì ancora più stupido.
«Assolutamente no» rispose lei, mortalmente seria. Poi rise. «Quelli li avevo già letti quasi tutti, e quelli che non ho letto sono di una tale noia!»
Matteo annuì. «Mi chiamo Matteo» disse poi.
Elisa chiuse il libro. «Okay. Elisa» si presentò a sua volta, «vuoi del caffè?»
«In realtà volevo chiederti qualcosa» esordì con una sicurezza a lui del tutto sconosciuta.
Elisa alzò un angolo della bocca in un sorriso malcelato. Stava per rispondergli, probabilmente chiedendogli “Ah sì? Che cosa?”, ma non ne ebbe il tempo.
In quel momento il tizio col cappello e il quotidiano si alzò di scatto, talmente di colpo da rovesciare la sedia, tirò su il braccio destro finché non fu orizzontale di fronte a sé e Matteo ebbe appena il tempo di domandarsi scioccamente che diavolo stesse facendo; poi puntò una pistola contro la nuca di Elisa, e sparò.
Un urlo gli si bloccò nella trachea. Il tempo si fermò eppure continuò a scorrere, sentiva il suono frusciante del sangue nelle orecchie, la testa leggera, confusa, intorpidita.
Riportò lo sguardo su Elisa, che dando le spalle all’uomo non si era accorta di nulla, si trovava di fronte a lui del tutto ignara del fatto che sarebbe stata colpita, e probabilmente ammazzata, senza alcun motivo, in quell’insulso pomeriggio.
Ma Elisa non era ignara.
Matteo la vide scattare, la sua testa si mosse piegando il collo verso sinistra in modo del tutto innaturale, troppo velocemente per essere normale e creando un angolo troppo esteso perché fosse… Matteo non lo pensò. Non pensò la parola “umano”, ma la sua mente la produsse lo stesso nell’istante in cui Elisa si voltò verso l’uomo sibilando come una bestia inferocita. I capelli scuri le volarono attorno al viso, incapaci di seguire la velocità del suo movimento, Aveva artigliato il tavolo con le dita che sembravano tutto d’un tratto più lunghe di quanto Matteo le ricordasse, e lei non portava le unghie corte? Perché ora erano tanto acuminate?
E quella non era neanche la cosa più strana, giusto?, si disse Matteo. Aveva appena visto una sua compagna di corso schivare un proiettile che avrebbe potuto veder arrivare solo se avesse avuto gli occhi dietro la testa, e si preoccupava delle sue unghie.
L’uomo col cappello stava prendendo di nuovo la mira, pronto a sparare un altro colpo.
Elisa afferrò il contenitore dello zucchero e glielo lanciò con forza, costringendolo a ripararsi dietro un angolo della parete, poi tornò a fissare Matteo, spinse di colpo il tavolino e lo fece cadere a terra, fuori dalla linea del fuoco.
I suoi denti erano acuminati come zanne.
Matteo soffocò l'istinto di mettersi a gridare, sapeva sarebbe servito a poco oltre che a metterlo in pericolo di più.
L’uomo sparò un secondo colpo e Matteo vide che l'aveva raggiunta a un braccio prendendola di striscio. Elisa urlò mentre la sua carne bruciava a contatto col metallo, e di nuovo Matteo sentì i peli rizzarsi di fronte a qualcosa di completamente, terribilmente inspiegabile. La pelle della ragazza- ma era poi una ragazza?, produceva uno sfrigolio sordo e del fumo che sapeva di bruciato, nel punto dove il proiettile l'aveva colpita non sanguinava ma si era annerita e sembrava carbone.
«Prendi un coltello da un tavolo!» gridò Elisa.
Matteo la fissò incredulo, pietrificato. Il suo cervello faticò a processare quelle semplici parole, per un momento gli sembrarono addirittura in una lingua straniera, o non umana.
Elisa si girò a guardarlo negli occhi. «Un coltello!» ripeté. «Da un tavolo!»
I suoi denti erano lunghi e acuminati e avevano la forma di zanne feline, e non solo i canini come nelle rappresentazioni più pittoresche dei vampiri, ma tutti quanti. I suoi occhi erano molto simili a quelli che Matteo conosceva, ma avevano un’ombra scura a celarne la vera natura. Era come se su tutto il suo viso fosse calata un’ombra, nonostante fosse in piena luce, che mostrava qualcosa al di là della sua pelle diafana di ventenne, una sorta di aura antica. Era ancora giovane e bella, Matteo poteva vederlo e l'immagine che i suoi occhi percepivano era sempre la stessa; ma al contempo era vecchia, antichissima, e quella percezione arrivava ai suoi sensi forte e inequivocabile in un modo che non era in grado di categorizzare.
Elisa scansò il terzo colpo di pistola, che fece esplodere una lampada in fondo al locale, e questo lo fece riscuotere. Gattonando per non trovarsi nella scia del fuoco, Matteo raggiunse il tavolo più vicino, si arrischiò ad alzare la testa e controllò ciò che c’era sopra: nessuna posata. Continuò la sua ricerca col tavolo successivo e con quello dopo ancora, domandandosi cosa diavolo stesse facendo e perché mai avesse deciso di aiutare quel… mostro. Era sbagliato. Lei era qualcosa di inumano, di sovrannaturale, e se quell'uomo col cappello voleva eliminarla forse avrebbe dovuto lasciarlo fare e al limite dirgli grazie. Eppure eccolo lì, a cercare un coltello con cui lei potesse difendersi. Sul quarto tavolo le posate c’erano, e le domande svanirono dalla mente di Matteo come se un cancellino le avesse spazzate via da una lavagna.
«Qua!» gridò.
Elisa si voltò nella sua direzione, lui si alzò in piedi, l’uomo sbucò dall’angolo della parete puntando la pistola.
Lanciò il coltello.
Gli sembrò rimanere in volo per secoli, lo vide muoversi, volare roteando, al rallentatore. Ebbe tutto il tempo di temere di aver tirato troppo piano o sbagliato mira, fece in tempo a preoccuparsi che Elisa non riuscisse a prenderlo, ma che pensiero stupido, si disse. Aveva schivato un proiettile.
Infine la traiettoria parabolica della posata iniziò a scendere, fino a che il coltello riuscì ad atterrare esattamente tra le dita di Elisa che a quel contatto bruciarono come la sua carne poco prima. Lei gridò mentre le sue dita fumavano e si annerivano, ma non mollò la presa.
Il tempo riprese a scorrere alla giusta velocità, o forse a quel punto accelerò, perché la velocità dei gesti che compì Elisa non aveva assolutamente nulla di normale.
Una volta riuscita a stringere in mano il coltello si voltò verso l’uomo abbassandosi in una posa felina, piegò il braccio all’indietro, scoprì i denti sibilando e producendo un suono che fece drizzare a Matteo i capelli sulla nuca per quanto suonava inumano, poi lo scagliò con tutta la forza che aveva in corpo; ed era tanta valutò Matteo. Non aveva mai visto nessuno muoversi così in fretta, tanto che i suoi contorni sfumavano nell'aria, e non aveva mai visto nessuno lanciare qualcosa con una potenza simile. Non era normale.
Ma d'altronde aveva le zanne, ricordò a se stesso.
Il coltello volò in aria un’altra volta, ma a differenza della prima questa volta Matteo lo vide attraversare la stanza a una velocità esagerata, divenne quasi invisibile e la sua traversata, una traiettoria dritta e per nulla parabolica, durò meno di due secondi.
Uno, riuscì a contare; e si conficcò di punta nel petto dell’uomo.
Tutto si fermò. Matteo trattenne il fiato, Elisa si immobilizzò come una statua di sale col braccio destro ancora proteso nella posizione di lancio. L’uomo rimase sospeso per qualche interminabile secondo, la bocca aperta in un’esclamazione che non avrebbe mai avuto voce, le braccia leggermente alzate verso i lati. Poi, sotto lo sguardo allucinato di Matteo, il suo corpo iniziò a fumare, prima da sotto i vestiti, il torso, le gambe, poi le braccia, le mani, infine il viso. Da ogni parte del suo corpo iniziò ad alzarsi un fumo scuro sempre più denso, dall’odore acre di cenere vecchia. Anche la sua pelle stava diventando nera, e il fumo la stava consumando in un modo molto simile a quello che aveva visto accadere alla pelle di Elisa. Ma non proprio, notò Matteo, perché l'uomo si stava letteralmente sgretolando. Fece appena in tempo a formulare quel pensiero, che pezzi del corpo iniziarono a cadere: le dita, il naso, le orecchie, poi pezzi di viso e infine gli arti, finché quel corpo non rimase sbriciolato a terra in un mucchio di cenere fumante e vestiti accartocciati, tra i quali brillava il coltello da burro, lucido e intonso, non una goccia di sangue a intaccarlo.
Trascorsero dei secondi, lenti, pastosi e ovattati.
Poi Elisa si drizzò in piedi, ritrasse zanne e artigli, e si voltò verso Matteo che ancora se ne stava piantato in terra a fissare la scena. Era accaduto tutto molto in fretta, nel giro di qualche minuto al massimo. Per un momento aveva avuto paura che l'avrebbe lasciata in balia di quell'essere, e invece non l'aveva fatto. Lo scrutò in viso. Sembrava sconvolto, ma quantomeno non terrificato, valutò.
«Bene» sentenziò, «che cos’è che volevi chiedermi?»
Matteo spostò lentamente lo sguardo dal mucchietto di polvere che era stata una persona alla ragazza che era stata una creatura e che ora era tornata una ragazza. Sbatté le palpebre, annuì serio. «Credo di avere ben più di una domanda a questo punto».
Elisa riprese il suo tascabile dal pavimento e ne spazzolò via la polvere e alcune tracce di caffè. «Credo che avremo tempo per questo».
lista Flower (o lista Ink, va bene per entrambe in realtà)




Ok, sono spiazzato ahahah Matteo si è ritrovato in mezzo a un casino, ma forse è meglio così: mettiamo caso che non fosse mai andato da Elisa a chiederle di uscire e l'uomo avesse sparato lo stesso. Non si sarebbe "goduto" la scena allo stesso modo, no?
Al netto delle imperfezioni, penso che Elisa sia un bel personaggio e anche la faccenda dei due minuti di ritardo può anche essere spiegata col fatto che nel tempo libero schiva i proiettili!
Fantastico, bravissima come sempre :D