A me piacciono i "cattivi"
- rossanazancanaro

- 14 nov 2019
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 28 mar 2023

Mi capita sempre: guardo un film, leggo un romanzo, inizio una serie TV... e mi ritrovo a parteggiare per il cattivo di turno.
Beh, non sono di certo l’unica, giusto? Il fascino dei villain è innegabile!
Ma perché? Cosa ci porta ad amare gli antieroi, personaggi che nella vita reale non vorremmo neanche avvicinare, che più realisticamente denunceremmo alla polizia?
Per cominciare, è doveroso fare una distinzione: ci sono cattivi e cattivi. Alcuni sono creati apposta per essere odiati e detestati (un esempio? Ramsay Bolton de “Il Trono di Spade”), e parteggiare per loro risulta quasi, se non del tutto, impossibile. Altri, protagonisti di questo articolo, non sono così tanto diabolici, e sono diversi dai rough hero e dai classici malvagi.
E gli eroi?
L’eroe quello vero, nel frattempo, è spesso snobbato; lo dice perfino Stevenson mediante la “voce” di John Silver, principale antagonista de “L’isola del tesoro”, che i buoni in genere sono noiosi.
Questo perché sono troppo perfetti: belli, buoni, irreprensibili, colmi di qualità e scarsi di difetti. Proprio le persone adatte a salvare il mondo... ma meno adeguati a far immedesimare in loro le persone!
Ecco svelato il mistero: nei cattivi, al contrario, ci si riesce a riconoscere.
Per comprendere a pieno questo concetto, facciamo un iniziale tuffo nel passato fino alla Francia del 1700.
È proprio allora, durante l’Illuminismo, che Jean-Jacques Rousseau espone la sua teoria riguardante lo stato di natura nel quale l’essere umano è intrinsecamente buono; secondo lui, allo stato di natura l'uomo vive in una condizione di uguaglianza e libertà, mentre nella società e con la cultura egli si trova costretto tra imposizioni e disuguaglianza, situazioni che ne corrompono l’animo.
Questa teoria è facilmente riscontrabile anche nel nostro mondo moderno: la società e internet ci sottopongono quotidianamente a violenze e stimoli distruttivi, e così nascono ansie, paure, infelicità, depressione.
I cattivi dei film spesso vivono situazioni analoghe, si trovano a dover affrontare ingiustizie, dolore, rabbia, tradimenti, delusioni; a cui loro reagiscono con altrettanta violenza. Vivono il dolore e la rabbia a pieno, li estremizzano, puniscono gli artefici di quei sentimenti, come forse anche noi a volte vorremmo fare.
L’esempio più classico è Medea, protagonista dell’omonima tragedia greca, subdola e manipolatrice ma acclamata da qualsiasi pubblico; e tornando a film, libri e serie TV si possono citare Tyrion Lannister de “Il trono di Spade”, Alex protagonista di “Arancia Meccanica”, Joker, Hannibal Lecter, Loki, e anche Sherlock se vogliamo; sociopatici, meschini, calcolatori, subdoli, sfacciati, a loro non importa niente degli altri perché seguono solo i loro vantaggi e desideri. Eppure ci affezioniamo a loro perché presentano, insieme alla loro lunga lista di difetti che noi capiamo alla perfezione e che stimola il lato più oscuro della nostra personalità, caratteristiche uniche che ci portano inevitabilmente ad ammirarli.
Uniamo un'acuta intelligenza e un pungente senso dell'umorismo a difetti e sofferenze in cui ci immedesimiamo: il sentirsi affini a loro, più che ai perfetti eroi, sarà conseguenza logica e inevitabile.
Insomma, la verità è che a volte, nel nostro intimo, la parte oscura di noi vorrebbe potersi comportare come i villain fanno, anche se nella vita ci è impossibile; e parteggiare per loro dà sfogo a quella parte di noi in maniera del tutto innocua.
Tutto si riduce, nel motivare questo strano affetto che i cattivi suscitano, alla classica domanda: "Quante delle tue belle regole saresti disposto a sacrificare pur di raggiungere l'obiettivo?"
La risposta si nasconde, differente di caso in caso, dentro ognuno di noi; in fondo, d'altronde, "ogni cattivo è un eroe, nella propria mente".




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