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PSICOLOGO? UNA COSA DA PAZZI! Come sta cambiando il rapporto tra adolescenti e psicologia?

  • Immagine del redattore: rossanazancanaro
    rossanazancanaro
  • 9 dic 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 17 mar 2022

Ringraziando Martina Savoini per lo spunto.


L'adolescenza è senza alcun dubbio un momento molto critico della vita, forse il più critico in assoluto: si sente la prima spinta verso l'autonomia, nascono mille nuove passioni, inizia a svilupparsi il carattere; ma allo stesso tempo si ha ancora bisogno di una guida pur rifiutando il mondo adulto. Ci si trova a metà strada tra il dorato ma superato mondo dei bambini, e quello idealizzato ma temuto degli adulti, e la concomitanza di questi fattori tanto opposti crea cambiamenti profondi che investono le sfere psicologica e sociale.

Nel nostro mondo caratterizzato da social, internet, e pressioni mediatiche di ogni tipo, questi cambiamenti già traumatici di per sé risultano ancora più veloci e accentuati.

Come ci si può aspettare che durante l'adolescenza ci si comporti e si reagisca agli stimoli esterni con calma e raziocinio? Non si può. Non è strano che gli adolescenti soffrano di ansia, presentino pensieri ossessivi, passino dall'essere impulsivi e conflittuali alle più totali apatia e demotivazione. Si aggiungono poi pressioni sociali legate alle difficoltà nel raggiungere gli obiettivi a cui si aspira, a una stabilità che la generazione dei genitori possiede ma che è diventata un miraggio; e così ben il 57,6% dei giovani soffre di ansia, il 18% di disturbi della sfera affettiva, il 9,8% di depressione.

La soluzione più logica e che per prima verrebbe in mente è: perché non farsi aiutare da uno psicologo?

Durante l'adolescenza anche questo è complicato, per prima cosa perché si sta attraversando un periodo di formazione per il carattere, durante il quale ci si vuole creare, o meglio in cui si è alla ricerca, della propria identità: farsi aiutare in questo da un adulto viene vissuto come una forzatura, un'imposizione limitante e costrittiva. Secondariamente, non si possono ignorare i pregiudizi e i tabù ancora associati alla figura dello psicologo e alla psicologia in generale, considerata da molti una pseudo-scienza nonostante sia effettivamente una scienza (al pari della fisica o della chirurgia) ben dal 1879. Chi non ha mai sentito dire almeno una volta qualcosa come "Vai dallo psicologo? Allora sei pazzo?" o "È inutile, bisogna farcela da soli"?

Ben il 70% degli italiani a oggi considera inutile andare dallo psicologo (mentre contemporaneamente in città come New York si pensa al contrario sia "strano" chi non lo fa: che forse tema di scoprire aspetti nascosti della sua persona che ha paura di affrontare?).

Uno studio dell'ENPAP, l'Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Psicologi, ha evidenziato che la propensione ad affidarsi a uno psicologo aumenta al crescere del titolo di studi; ma allo stesso tempo la durata del percorso psicologico e la frequenza delle sedute diminuiscono all'aumentare dell'età dei pazienti.

Questo vuol dire forse che le nuove generazioni stanno pian piano superando tabù e pregiudizi legati a questo argomento?

Scopriamolo!

Ho chiesto a giovani appartenenti a due generazioni diverse cosa ne pensano della psicologia, di chi va dallo psicologo, e se loro si sentirebbero tranquilli nel rivelare di aver fatto ricorso alla terapia: ecco i risultati.

La maggior parte dei Millennials, ossia i nati tra il 1980 e il 2000, concorda sul fatto che la psicologia sia una scienza interessante, e non solo, utile anche a chi non ha problemi effettivi per conoscere meglio se stessi e la propria mente.

Circa il 33% afferma che uno psicologo è un medico come un altro, e che quindi sarebbe tranquillo nel parlare di un'eventuale percorso di terapia.

D'altro canto però, circa il 20% dei Millennials intervistati crede che la psicologia sia una scienza astratta, non certa, e che sia necessario prestare attenzione al percorso e alle cure che si intraprendono, per non venire troppo indirizzati o addirittura influenzati.

A pari merito, infine, troviamo due opinioni contrapposte: un 10% dei Millennials afferma che ricorrere alla psicologia sia un notevole atto di coraggio considerati i pregiudizi che esistono in merito, e che inoltre, se la terapia fosse qualcosa di più comune, questo porterebbe benefici non solo personali ma anche sociali: se si sta bene con se stessi, si rende di più. Un altro 10% invece, costituito in prevalenza da maschi, afferma di non credere nella psicologia, vista come un lavoro superfluo e sopravvalutato, e che sarebbe a disagio nel dover dire di andare in terapia poiché equivarrebbe all'ammettere di avere un problema e di essere quindi deboli.

La seconda generazione che ho intervistato è la cosiddetta Generation Z, formata da ragazzi nati tra il 2000 e il 2010. Qui la situazione per certi versi cambia.

Anche fra loro un buon 45% considera la psicologia utile, interessante, affermando che non c'è nulla di male nel ricorrerle; il 55% di loro rivelerebbe di andare dallo psicologo ai conoscenti, seppur con prudenza.

Riguardo gli stereotipi e i problemi legati all'argomento, la Generation Z si divide: alcuni sono risultati molto perentori nel dire che andare in terapia non dovrebbe essere un problema o un motivo di discriminazione; altri, come tra i Millennials, affermano decisi che la psicologia è uguale a qualsiasi altra banca della medicina e che i tabù non hanno motivo di esistere. Altri ancora ne mostrano timore, chi a causa di ciò che la società potrebbe pensare, chi temendo di venirne troppo influenzati.

Infine, un’ultima percentuale evidenzia un aspetto nuovo: sembra infatti che alcuni adolescenti siano arrivati, negli ultimi anni, a ostentare il fatto di andare dallo psicologo, a vantarsene quasi; per attirare l'attenzione, per mostrarsi speciali, diversi, interessanti, allo stesso modo di chi si descrive sui social usando termini forti come "bipolare" "depresso", "con l'ansia sociale", "borderline"; un fenomeno questo molto diffuso online.

È possibile che, a dispetto dei pregiudizi, avere problemi psicologici stia divenendo simile a una moda?

In una società in cui si vendono felpe con le scritte "I've got social anxiety" o "My neck, my back, my anxiety attack" forse il dubbio può venire.

E questo, nuovamente, può essere legato solo a una motivazione: il desiderio, la necessità addirittura, degli adolescenti di crearsi una personalità unica e propria, distanziandosi da ciò che è "normale", dalla società intesa come "gli altri" desiderando al contempo di farne parte; e ovviamente il loro bisogno costante di rompere gli schemi, sfidare il mondo degli adulti, e con lui anche i tabù che si porta dietro.

In conclusione, è indubbio come le nuove generazioni stiano lentamente abbandonando i preconcetti che la società ha sempre avuto riguardo la psicologia, anche se il momento in cui tutti si sentiranno liberi di parlarne senza paura di venire giudicati non è ancora arrivato.

Da sempre, d'altronde, indagare la psiche fa paura, e spesso è proprio il giudizio di noi stessi che ci frena, più che quello degli altri, perché un percorso psicologico potrebbe farci scoprire nuove parti di noi stessi, nuovi lati della nostra personalità, magari non tutti positivi o facili. E questo è qualcosa che non tutti sono pronti o in grado di affrontare.


1 commento


savoinimartina
09 dic 2019

Interessante, sintesi esaustiva di un argomento complesso! 😊💪🏻

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